Quando sei sulla Strada, metaforicamente parlando (ma non troppo), succede che capita di percorrere sentieri meno battuti, di battere passi laddove altri hanno già rinunciato da molto o attraverso foreste da molti dimenticate. E la Bosnia di foreste certo non è carente, e di oblio nemmeno. Un velo di oscurità che tutti noi, alunni della quinta liceo dello scorso anno, eravamo pronti a stendere appena ci venne pro/im-posta la gita a Sarajevo. Certo è che in confronto alla Grecia o a Monaco (mete delle quinte classico e scientifico), il paragone secondo noi non poteva reggere. Eppure, io ho solo da ringraziare l'ostinazione e la determinazione della preside e degli insegnanti dal non desistere dalla volontà di "viaggiare i Balcani". Infatti, grazie ad una preziosa preparazione da parte di buoni insegnanti e dal mio coinvolgimento in prima persona nella preparazione di materiali, io in viaggio c'ero già ancora prima di salire in corriera. Quelle che voglio condividere oggi sono delle parole scritte al ritorno a casa dopo una settimana di Viaggio d'Istruzione (perchè tale è stato, non "gita").
LA MIA SARAJEVOLUTION
Ed è proprio come avevo immaginato: sono alla mia scrivania, in camera, illuminata dalla calda luce della lampada comperata per le vie di Mostar. Adesso ci siamo solo io, lei e la settimana appena trascorsa nei Balcani.
Quando sono partita ero già carica, e ho voluto darmi un solo imperativo: vivi! E così è stato: la Bosnia ha saputo donarmi la sua semplicità per farmi ritrovare quella serenità che da molto mi mancava. A chi mi domanda “cosa ti è piaciuto?” io ancora non so rispondere, mi accorgo che a certe emozioni mancano le parole, oppure io ancora non le conosco. Come spiegare i volti, gli attimi, gli sguardi, le città a chi in Bosnia non c’è stato? E’ proprio vero: finché non ci vai, non puoi capire.
A questa gita io devo tanto perché è stato molto quello che ho scoperto e ciò di cui ho avuto bisogno. “Non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro”. Questa frase di Vecchioni mi ha accompagnato per tutto il primo giorno e poi, nei giorni seguenti l’ho toccata con mano: quanta luce hanno saputo mostrarmi, nelle loro storie, molte delle persone che mi erano affianco!
Quello che mi ha regalato maggiore stupore è stato un riscoprirmi così tanto attaccata alla vita, a non darla più per scontata. Qualcuno l’ha già avuta una “seconda nascita” e ha capito di dover “lavorare solo per chi mi merita. Non ho più tempo da perdere con chi non ha voglia di imparare”.
In Bosnia ho avuto fame di vita, di storie; ho saziato la mia sete di sguardi, sorrisi, abbracci; ho avuto bisogno di sentire le lacrime rigarmi ancora il volto; ho scoperto la tenerezza e la sorpresa di una carezza inaspettata dalle grandi e forti mani di un generale.
Questo viaggio mi ha messa in ginocchio, perché quella è stata la posizione migliore per viverlo e per servire, silenziosamente e gratuitamente, l’altro. E ho ricevuto in cambio molto più di quel niente che potevo aspettarmi. Ho vinto nuovi amici, nuovi sguardi, nuove storie. Ho guadagnato degli esempi: Mario, Rada, Divjak, che solo a Srebrenica ho capito quanto valgono. Loro, come molte altre persone, sono quel bene silenzioso e invisibile che lavora tra le pieghe della Storia. La Storia. Mi sono domandata a cosa serve la Storia se l’uomo non sa imparare. Uomo. Al Memoriale ho scoperto quanto coraggio ci vuole a pronunciare questa parola, delle volte così terribile. Ho letto 8372 nomi di uomini, la cui vita è stata spezzata da uno sparo. Molte volte di un fratello. La morte è naturale, una presenza imprescindibile nella vita. Ma una morte così è inaccettabile. Ho visto le mani di un uomo levarsi verso il cielo, come preghiera davanti al nome di un familiare o di un amico; mi sono domandata quanto fegato ci vuole per raccontare ai bambini l’orrore di quello che è successo.
A Srebrenica ho sentito forte l’impulso a piangere, specialmente al pensiero che tante di quelle lapidi erano di ragazzi più giovani di me; ho avuto bisogno di essere abbracciata e consolata nel mio sgomento. Ho visto lapidi perdersi a vista d’occhio e ho voluto camminarci da sola in quel prato, scoprendo per la prima volta,forse, il significato più autentico di “urlo nero della madre” (Quasimodo).
Ancora una volta la terra e la natura sono state testimoni: hanno regalato “Frutti di pace” all’uomo che combatteva con coraggio per ricominciare e hanno sofferto per il non-uomo che faceva della morte la sua bandiera.
E poi mi sono spaventata, perché gli autori di questa guerra sono storia a colori e a raccontarcela perché vissuta è stato un giovane. Questo orrore è accaduto più vicino a noi di quanto crediamo. Non possiamo chiudere gli occhi!
La Bosnia è una casa da accarezzare, da vivere ad occhi chiusi, solo con le mani; e anche ora che sono in camera mia mi prendo il mio tempo e carezzo la lampada che mi sta illuminando. Pazzia? Forse. Eppure così mi sembra di non aver mai fatto ritorno a casa. Adesso sono ancora a Mostar, seduta accanto a quel “DON’T FORGET” che è rispetto e timore; sono ancora sullo Stari Most ringraziando l’Uomo che ha lottato per la sua ricostruzione, simbolo di speranza; e sono anche a Bratunac da Rada, ad ascoltare la storia della cooperativa; adesso sto tornando a Sarajevo, e cammino per le strade della “Barsciascia” o nell’atrio della splendida Biblioteca; ora, invece, sono seduta a bere del caffè turco e ad ascoltare la storia di Fuhad e sento la sua voce dire “ho scoperto che esistono solo due tipi di uomini: i buoni e i cattivi”. Tuttavia, sono anche in mille altri posti. Sono anche a casa mia e nella corriera nel viaggio verso casa, quando già si sentiva la nostalgia ("dolore del ritorno") di qualcosa di speciale.
Sarajevo (e tutta la Bosnia) mi è rimasta dentro, come una vita vissuta a metà: la promessa di tornare a riprendermi il mio non ancora vissuto, tutto ciò che non ho ancora visto.
La nostra è stata una gita splendidamente umana. In tutti i sensi. E con ciò voglio dire che non ho chiuso gli occhi su quegli aspetti, prevalentemente tecnici, che si potrebbero migliorare; ma quelli non cambieranno mai l’essenza di ciò che questo viaggio è stato.
Per chi non ha idea di cosa sia successo nei Balcani dal 1991/92 al 1995 consiglio la lettura di
- P. Rumiz, Maschere per un massacro, Feltrinelli, 2013
- E. Suljiagic, Cartolina dalla fossa, Beit, 2010
- Nuhefendic, Le stelle che stanno giù, Spartaco, 2011
- Sidran, Le lacrime delle madri di Srebrenica, ADV Publishing House, 201
ALCUNE FOTO:
La biblioteca di Sarajevo (ricostruita dopo l'incendio del 25 agosto 1992)
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La Biblioteca di Sarajevo di notte |
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L'interno della Biblioteca |
Il memoriale di Srebrenica (luogo in cui sono ricordate le vittime del genocidio perpetrato dai nazionalisti Serbi nei confronti dei bosniaci musulmani. 8372 è stato il numero delle vittime)
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Le lapidi |
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Monumento che riporta il nome e l'anno di nascita di ciascuna vittima |
Il coraggio di ricostruire: la Cooperativa Insieme nei pressi di Srebrenica (http://coop-insieme.com/) e i loro "Frutti di pace"
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Iscrizione sul copertchio del vasetto di marmellata |
Mostar (località per il famoso ponte bombardato e distrutto da cannoni croati, ennesima testimonianza di odio etnico)
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Stari Most, unisce i due argini della Neretva e divide
la parte cattolica e quella musulmana della città |
Piacerebbe anche a me fare un'esperienza in Bosnia!! Chissà un giorno...
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