Mi sono appena imbattuta, e con voi lo vorrei condividere, questo articolo scritto da don Achille Rossi, sacerdote, scrittore e filosofo italiano, a proposito di una visione "alternativa" dell'educazione dei giovani: quella alla Tenerezza, come sguardo che appassiona alla vita e al Servizio (anche socialmente utile) all'altro.
Buon cammino!
Ho l’impressione che i giovani di oggi siano stati defraudati dei sogni. I ragazzi non sognano più perché non vengono dette parole che animino l’esistenza. È come se fossero condannati a vivere di niente e nessuno li avesse aiutati a costruire una base solida per il viaggio della vita.Fonte: http://ita.calameo.com/read/0021941173b87205951c5
Di fronte a questa situazione diventa ancora più urgente chiedersi cosa significhi educare. In sostanza l’impegno educativo non può che svilupparsi attorno alle relazioni umane. Il vero bagaglio che resiste all’urto della vita si costruisce nella scoperta di un senso. Il senso libera dal vuoto e dal nulla che assedia l’esistenza umana. Oserei dire che il nichilismo vissuto oggi dai giovani ha una tonalità affettiva più che intellettuale e ruota attorno alla convinzione che non ci sia nulla per cui valga la pena di spendersi e appassionarsi.
La solitudine crescente delle giovani generazioni può essere guarita solo lasciandosi coinvolgere in una relazione reale, che significa ascolto, condivisione di esperienza, cammino fatto insieme. I ragazzi hanno bisogno di essere pensati, portati nel cuore.Questa silenziosa relazione dà vita a una corrente affettiva che libera dalla solitudine e fa fiorire l’esistenza umana come una continua nascita.
In un mondo travagliato dalla violenza uno dei compiti fondamentali di chi ha la responsabilità dei giovani è di educarli alla tenerezza. Non si tratta di fare l’apologia del buonismo o della passività, ma di essere convinti che la tenerezza è il vero principio di realtà che si oppone alla violenza. La violenza, in fondo, nasce dalla paura di vivere; la tenerezza, invece, custodisce la vita e la ripara.
Questa educazione alla tenerezza ha riflessi sul piano sociale e politico e porta immediatamente ad appassionarsi agli ultimi, perché rende sensibili al dolore altri.
Vorrei richiamare gli adulti a una evidenza solare: non si educa con quello che si dice, ma con quello che si è. Per aiutare i giovani a non soffocare nelle spire della società degli adulti, c’è bisogno di adulti che sappiano guardare oltre l’esistente e additare i sentieri dell’impossibile. I giovani seguiranno, come dimostra la storia di sempre.
Dobbiamo cominciare a vederli i giovani, perché la società sembra che non se ne occupi affatto. Eppure sono la parte più debole della popolazione: hanno un lavoro precario, una sicurezza sociale pari a zero,
un futuro certo di povertà, quando verrà a mancare il supporto dei genitori. I giovani interessano solo
come consumatori. Vederli significa porsi il problema del loro futuro, cercare soluzioni possibili alla loro mancanza di lavoro, stimolare la politica a farsi carico del loro avvenire. Se una comunità non riesce ad ascoltarli si interrompe il filo che lega le varie generazioni e l’esito finale è che i giovani si smarriscono perché portano un bagaglio troppo leggero e gli adulti intristiscono perché constatano il fallimento dei loro ideali.
Forse è il caso di ricordare al mondo adulto che per educare occorre entusiasmo, che non è l’euforia sentimentale, breve e passeggera, ma la consapevolezza della presenza del divino, come ricorda l’etimologia stessa della parola: en Thus (da Thoes) in Dio.
C’è un proverbio sufi che sintetizza alla perfezione la qualità di un educatore: “Cosa fa di un uomo un genio? La capacità di riconoscere. Riconoscere che cosa? Una farfalla in un bruco, l’aquila in un uovo, il santo in un essere umano egoista”.
Buon cammino!